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Una politica di sviluppo economico come risposta alla pandemia

Di il 16 Aprile 2020

Dobbiamo parlare di questo: di come stanno andando le cose ora, di quello che serve ora, di quello che si intravede ma non basta, e di come saranno impiegati i fondi che arriveranno a supporto delle imprese e, di conseguenza, del paese.

Gli effetti psicologici dell’incertezza sulle persone

Il lockdown, psicologicamente, lo abbiamo subìto tutti e tutti insieme, da un momento all’altro, ci siamo ritrovati nella categoria delle persone. Ci siamo supportati nella consapevolezza della nascita e dell’esistenza di questo nuovo virus, ci siamo consigliati circa le precauzioni da usare, ne abbiamo discusso; abbiamo espresso le nostre opinioni sulle passeggiate, l’ora d’aria, la corsetta, la spesa. Ma in quella fase eravamo lì, svestiti dai panni del lavoro, fuori dai nostri locali, dalle nostre aziende, dai nostri uffici, estranei ed estraniati dalle nostre attività lavorative ferme, quasi a riposo, a ragionare solo ed esclusivamente da persone preoccupate per la nostra salute e quella dei nostri cari. Convalescenti di una malattia che chissà se abbiamo avuto, se abbiamo o se avremo.

Questo è il punto della questione, l’imperdonabile colpa che qualcuno dovrà pagare: il mastodontico chissà come risposta in cui sono sfociate tutte le nostre domande sull’uso delle mascherine, sulla necessità dei tamponi, sull’allarmarci o meno per una febbre. La colpa di averci trasmesso l’incertezza su come vivere questo momento, che ha generato ormai le nostre paure sul futuro. Colpa dei politici che non ci hanno risposto come dovrebbe rispondere la politica: con certezza e comunicando sicurezza.

Adesso sono, siamo, un po’ stanchi di leggervi immaginare come sarà il futuro quando ancora non state affrontando in maniera seria e diretta un presente che ci sta affossando. Perché vanno bene tutti i buoni propositi e i vari scenari per il domani, ma per non rischiare di farsi ancora più male quando le future aspettative di rilancio saranno disattese, quegli scenari dovranno essere pensati sul presente che stiamo vivendo, sulle decisioni che noi imprenditori stiamo già prendendo.

La chiusura delle imprese e il conseguente aumento della disoccupazione

Questa è la risposta di un nostro cliente austriaco alla semplice, banale, forse inopportuna domanda “Come va?”. Leggetela. Va male. Il nostro cliente non l’ha detto ma l’ha spiegato benissimo: va male. La pandemia è mondiale e i suoi effetti sono comuni a tutti.

Dobbiamo capire e affrontare la realtà. E la realtà è questa che leggete nella mail che vi sto mostrando e che cerco di spiegare in maniera ancor più comprensibile: imprenditori e commercianti, i responsabili delle attività al dettaglio, in alcuni settori particolarmente, stanno licenziando personale, stanno chiudendo i locali. I loro fornitori, i produttori, le aziende, pure, di conseguenza, perché la domanda dei loro prodotti non arriva; non arrivano gli ordini dato che non vengono consumati perché i locali sono chiusi.

Ma allora vorresti riaprire tutto in maniera incosciente?

No. Assolutamente no. È questa la gravità della situazione a cui forse non tutti sono ancora arrivati:

  • Bar
  • Ristoranti
  • Strutture alberghiere con annessi servizi bar e ristorazione
  • Stabilimenti balneari con annessi servizi bar e ristorazione

sono le attività (e ce ne sono ovviamente altre, penso ai parrucchieri ecc. ma preferisco parlare di ciò che conosco bene) su cui, finanziariamente, l’impatto della pandemia ha già fatto e continuerà a fare danni enormi, con perdite inimmaginabili per chi non le vive. Per questi settori non si tratterà soltanto di sopravvivere al periodo di inattività che, a questo punto, settimana più o settimana meno non farà la differenza; bensì, si tratterà, soprattutto, di far fronte a quello che sarà il cambiamento delle abitudini sociali: se riuscite ancora a ricordarli pensate a come vivevate i vostri dieci minuti al banco bar, o le vostre due ore al ristorante tra attesa, consumazione e socialità. Pensate alle paure che avete oggi, a come vivrete o non vivrete questi luoghi domani quando tutto sarà riaperto e fino al vaccino per il covid-19. E pensate al tempo che ne passerà, nello scetticismo più totale, nell’attesa che la scienza ci dia la certezza che saremo fuori pericolo.

Sarà un tempo lungo in cui le nostre paure e il conseguente cambiamento di abitudini individuali e sociali, per bar, ristoranti, ecc. si tradurranno, nonostante la riapertura, nello sviluppo di un fatturato neanche lontanamente vicino a quello che era nei giorni pre-covid19.

Queste perdite, per commercianti e imprenditori, la politica dovrebbe avere già studiato e capito come affrontare perché, inevitabilmente, si tradurranno in una diminuzione del PIL e in un aumento della disoccupazione per il paese.

Una politica economica di sviluppo, Europeista, contro un nuovo piano di assistenzialismo

Le chiusure delle aziende, il licenziamento dei lavoratori, comporteranno un aumento dei disoccupati che, se le cose politicamente saranno affrontate come nel più recente passato, sfoceranno solo ed esclusivamente nella ricerca inevitabile di ulteriori forme di assistenzialismo che vanno considerate come fondamentali per quella fascia di popolazione senza un reddito adeguato ad una vita dignitosa, ma che non possono essere considerate come strumenti a cui affidare l’evoluzione di un paese nell’era moderna. Per evitarlo, dovremmo pensare oggi a nuovi piani di sviluppo economico basati sulla situazione attuale.

Le ripercussioni della pandemia sono analoghe in ogni paese mondiale e, fortunatamente, una risposta coesa dell’Europa (al netto delle varie polemiche su MES e “coronabond“) in termini di supporto economico, nonostante tutto, è arrivata. Ora, come la politica interna saprà sfruttare ed impiegare questi aiuti a beneficio della propria economia farà la differenza, di riflesso, anche per le singole imprese, per la loro sopravvivenza di oggi, dandole, magari, la speranza per un potenziale rilancio domani in un contesto economico internazionale.

La Gig Economy come alleato

Sono ormai anni che uno dei temi della politica del lavoro sono i diritti dei “Riders“, ossia i lavoratori che consegnano la nostra spesa a domicilio. Mentre negli anni passati avete contrastato in ogni modo la Gig Economy con il timore che potesse essere la causa della disoccupazione e di una concorrenza sleale alle pmi, adesso dovreste aver capito che queste aziende l’occupazione la creano. Ci sono due cose da fare subito:

  1. Regolamentare i diritti dei Riders ma tenendo conto di quello che è il lavoro oggi, dello sviluppo, dell’evoluzione dell’economia, dei cambiamenti dei tempi in cui viviamo e lavoriamo e della velocità con cui viviamo e lavoriamo. Adeguare quindi i diritti dei lavoratori alle esigenze della Gig Economy. Impensabile continuare a fare muro contro muro. I sindacati in questo scenario avranno un ruolo fondamentale e dovranno r-innovare il proprio pensiero e soprattutto il proprio modus-operandi.
  2. Agevolare la nascita di piccole startup-imprese che possano copiare le dinamiche operative delle aziende della Gig Economy. Una delle mancanze più cocenti di questo periodo è stata non avere per ogni Regione, per ogni Comune, delle aziende a cui affidare l’appalto delle consegne della spesa, dei pasti caldi. Un’azienda che potesse garantire la sicurezza ai lavoratori che avrebbero dovuto erogare questi servizi, e agli utenti che avrebbero dovuto usufruirne. E dirò di più: in momenti del genere, di estrema emergenza, la politica sarebbe dovuta essere in grado di far nascere proprio all’occorrenza delle proprie imprese capaci di organizzare, gestire, ed erogare questi servizi.

Sburocratizzare e digitalizzare: due verbi inflazionati che è ora di attuare

Fate chiarezza subito su come ed in quali tempi arriveranno gli aiuti economici alle imprese per affrontare le perdite, cercare di sopravvivere e non creare nuovi disoccupati.

Il supporto alle imprese e al commercio, la sburocratizzazione e la digitalizzazione, devono essere le basi su cui il nostro paese deve puntare tutto in un’ottica di consolidamento di una posizione imponente nelle future dinamiche economiche Europee.

Senza entrare nei dettagli del decreto liquidità, dalle banche arrivano riscontri desolanti: nella ancora incertezza delle risposte, l’unica cosa certa è che, visto e considerato i vari soggetti le pratiche avranno gli stessi tempi di quelle che sono le normali richieste di finanziamento a causa di quel 10% della somma erogata che sarà garantita dai confidi e non dallo stato. Abbiamo detto che occorre sburocratizzare. Fatelo. Ora.

Tutto quanto di cui sopra continuerà ad essere inattuabile senza una imponente e urgente opera di digitalizzazione che parta dalla PA e termini nella più piccola bottega di quartiere. Basti pensare all’esigenza che in questo periodo ha avuto la scuola di riorganizzare le lezioni a distanza. Smettete quindi di parlare di digitalizzazione e fatela. Abbiamo tutto a nostra disposizione: competenze, strumenti, tecnologie. Manca soltanto la forma-mentis della politica e dei corpi intermedi per iniziare a sfruttare tutto quanto occorre per digitalizzare una volta e per tutte, totalmente, questo paese in ogni sua componente. Occorre mettere da parte il timore che digitalizzare possa voler dire fare a meno delle risorse umane. L’intelligenza artificiale può solo dare un enorme contributo a quella umana e ne sarà sempre dipendente.

Solo le certezze generano fiducia

Abbiamo un estremo bisogno di certezze, a partire dalla scienza, passando per la sanità, fino ad arrivare alla politica economica e del lavoro, perché possiamo vivere bene ogni domani che ci aspetta solo se durante la fase di cambiamento ci sarà consentito di pensare a un futuro certo.
Abbiamo un estremo bisogno di velocità della politica.
Abbiamo bisogno di avere fiducia nella politica e nella società.

Abbiamo bisogno della buona politica.

*Fonte foto https://www.thesunmagazine.org/issues/350/the-death-of-environmentalism

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