Re-impariamo a leggere prima di insegnare la comunicazione
In questi giorni in cui la situazione coronavirus sta attirando gran parte della nostra concentrazione quotidiana, stanno venendo a galla le verità più crude. Una di queste si è palesata nella mia bolla social, che credevo essere in buona percentuale popolata da persone e professionisti capaci di leggere una notizia. Beh, in questi giorni sto scoprendo che no, forse non è così, e la preparazione e le competenze tecniche non mi bastano e non mi basteranno più per selezionare i miei contatti e le mie amicizie. Manca il buon senso. Talvolta proprio la capacità di riconoscere e di interpretare il significato delle parole. Altre volte, e forse è peggio, manca la capacità di accettare uno scambio di battute che possa evidenziare e magari correggere una notizia errata che si è condivisa.
Sono anni e anni e anni che andiamo in giro sventolando la tag comunicazione cercando di insegnarla: usare gli strumenti, le strategie, applicarle per un canale e differenziarle per l’altro, ecc.
La verità è che mentre guadagnavamo da tutto questo, a loop, esagerando, formando giovani professionisti preparati sugli argomenti, ma troppo spesso vuoti e inadatti per relazionarsi con altre persone (e si sa, anche il lavoro più individuale è vincolato dalle relazioni sociali), ci siamo dimenticati di insegnare la cosa più basica relativa alla comunicazione.
Ci siamo dimenticati di insegnare a leggere e ad interpretare le parole
Ci siamo dimenticati i insegnare a leggere e interpretare le parole; quindi a scegliere cosa condividere e talvolta come farlo. Forse perché lo ritenevamo superfluo, che tanto a noi interessa solo come comunicare l’argomento verticale. Io non lo so, ma da quando vivo i social, nella maggior parte del tempo trattandoli indistintamente tra luogo personale e professionale, ho sempre detto a chiunque abbia avuto in questi anni voglia di ascoltare la mia idea sull’uso della comunicazione e dei suoi vari canali, che usare tanta strategia dal proprio profilo social personale è inutile; che sarebbe bello, e forse meglio, che chiunque abbia voglia di visitare il nostro profilo per capire qualcosa in più di noi, su di noi, lo riuscisse a fare leggendo i nostri pensieri quotidiani, di vita, e non solo ed esclusivamente tecnici e di lavoro.
Sarò sempre convinto che l’intimità è una cosa che non viene messa in pericolo dall’apertura dei profili social. Tutto questo per me è importantissimo nella selezione dei miei amici/contatti perché alla fine sì, anche se il tuo profilo è quello di un contatto che ha scelto di vivere i social solo per condividere le sue competenze, intanto che me ne gioverò di quelle competenze, io dovrò avere a che fare, condividere tempo e situazioni quotidiane, con la persona che sei. E se in un momento come questo non sai leggere e interpretare una fakenews sul coronavirus e, ancor peggio, contribuisci alla sua diffusione, sei pericoloso per la mia persona, nonostante il nostro rapporto ci veda vicini mentre vestiamo i panni di professionisti.
Forse è per questo che parlando di “buoni maestri” i pensatori non si sono mai riferiti alle materie tecniche: perché il buon maestro è innanzitutto quello che prova ad insegnare a pensare, ad attivare il cervello, a leggere e a interpretare tutto ciò che ogni giorno affrontiamo. E una delle forme comuni in cui gli eventi si manifestano, è la parola.
Proviamo a re-imparare a leggere prima di continuare ad insegnare la comunicazione.