Società Marketing Imprese

La pizza può essere venduta a 4€ o a 14€. Ma i torti e le ragioni non devono pagarli i clienti

Di il 28 Giugno 2022

Da sempre, cioè da quando mi occupo strategicamente del marketing della mia azienda (ma anche di altre), ho sempre tentato di impostare il pricing dei prodotti nel massimo rispetto dei clienti.

Negli ultimi 18 anni ci siamo concentrati molto sull’e-commerce come canale di mercato. La prima cosa che mi sono chiesto 18 anni fa, essendo già un accanito e-buyer, è stata: “da cliente, cosa mi farebbe desistere dall’acquistare il prodotto di un brand, di un’azienda, online?”

La risposta fu, ed è rimasta, netta: la poca professionalità. Credendo di sapere acquistare online ho sempre tentato di andare oltre il prodotto e capire da chi lo stessi acquistando per evitare spiacevoli sorprese. Prima di acquistare facevo uno screening sia dell’azienda produttrice del bene che del venditore specifico.

Allora, visto che mi reputo un cliente esigente, quando ho iniziato a vendere online, ho tentato in tutti i modi di offrire serietà e professionalità a corredo della qualità dei nostri prodotti, proprio per riuscire a soddisfare le pretese di clienti attenti, forse troppo esigenti, proprio come me. Il concetto è sempre stato: “ci stanno i clienti cacacazzi. Devo fare in modo di non dargli mai la possibilità di lamentarsi”.

Cosa vuol dire?

Che ho tentato di uniformare il più possibile gli standard dell’esperienza di acquisto per i clienti Caffè Carbonelli.

Cosa vuol dire?

Che i prodotti Caffè Carbonelli, ovunque fossero stati intercettati, sarebbero sempre dovuti essere offerti alle medesime condizioni, soprattutto sui prezzi, con la ovvia ammissione di minime oscillazioni di mercato dovute all’offerta di servizi accessori che avrebbero potuto offrire piattaforme o rivenditori diversi.

La prima decisione presa fu di abolire il costo di spedizione.

I nostri prodotti online sono sempre stati offerti in “spedizione gratuita”, in tutta Italia, anche nelle fatidiche zone disagiate, verso cui tanti e-seller apportano supplementi di prezzo sulle spedizioni per rientrare sui costi supplementari proposti dai corrieri. Non mi importava da dove proveniva l’acquisto, se da Ebay, da Amazon, o dal nostro sito. Se il pagamento fosse avvenuto con paypal, carta di credito, o bonifico bancario. Sappiamo bene che ognuno di questi canali e ognuno di questi servizi di pagamento ha un proprio costo di commissione variabile. Bene, lo scopo è sempre stato quello di non farlo subire ai clienti. Di riuscire ad assorbire i costi di gestione variabili. I costi variabili, non propri del costo prodotto, avrebbero comportato un minore o maggiore profitto per l’azienda, ma non una minore o maggiore spesa per i clienti. È sempre stata questa la mia filosofia.

Tutto doveva essere allineato affinché gli utenti, prima ancora di diventare clienti, potessero percepire la serietà del brand e dell’azienda. I clienti dovevano fidarsi. Soprattutto 18 anni fa, quando si iniziava ad acquistare e a vendere online con una giusta dose di scetticismo.

Addirittura riuscii, e tutt’ora riusciamo, a uniformare il costo delle spedizioni per tutti i paesi europei. 10€ o 20€ solo due spese di spedizione, a seconda della quantità acquistata, ma mai della località di residenza dell’acquirente. Ho sempre pensato che non fosse giusto che fossero le persone a pagare di tasca propria il fatto di vivere in un luogo che fisiologicamente comportasse più spese rispetto ad un altro. E si, quando acquista un cliente dalle Canarie (ad esempio) andiamo in perdita. Ma la quantità dei prodotti venduti verso le località “standard” ci permettono di essere contenti di acquisire anche clienti che con i loro acquisti ci comportano non un profitto ma una perdita. Le persone devono volere Caffè Carbonelli. Devono essere contente di acquistarlo. Noi possiamo sopperire a quella perdita attraverso i profitti sulle altre vendite.

Ma le cose cambiano: a causa dell’inflazione, dei numerosi aumenti delle materie prime, dei costi dell’energia, il costo delle spedizioni è di gran lunga superiore a quello che anni addietro mi hanno permesso di arrivare alla decisione tutt’ora in atto di offrire la spedizione gratuita. Magari da domani non sarà più possibile e al prezzo del prodotto dovrà essere aggiunto quello per la spedizione appunto, la cosa cerca, e che deve rimanere è la serietà con cui questo prezzo supplementare verrà applicato. Il mio obiettivo sarà trovare il modo attraverso cui la spesa totale (prodotto+spedizione) degli acquirenti sia sempre relativamente la medesima su ogni canale attraverso cui decideranno di effettuare l’esperienza di acquisto.

Passiamo ora al mercato più tradizionale considerando le ultime discussioni e le polemiche sui prezzi di prodotti venduti nei locali di prossimità a fini ristorativi, caffè e pizza su tutti, mi chiedo se sia giusto che uno stesso brand possa proporre il medesimo prodotto a prezzi molto differenti a seconda della località in cui opera l’attività.

I brand che operano in frinchising, teoricamente, offrono un format standard che comprende la qualità dei prodotti e del servizio. Mi chiedo quindi quanto sia giusto proporre lo stesso caffè o la stessa pizza (ma ovviamente il discorso si estende a qualsiasi prodotto), preparati con i medesimi ingredienti e la medesima tecnica, con un’oscillazione di prezzo che arriva anche al 60%-70%, a seconda che l’acquisto, il servizio, e il consumo, siano effettuati in una zona periferica o in una zona centrale di una metropoli o di un paesino di provincia.

Siamo tutti viaggiatori. Com’è possibile che un giorno ci ritroviamo a pagare un prezzo che riteniamo congruo per un prodotto soddisfacente e il giorno seguente un prezzo che diventa sconsiderato per il medesimo prodotto servito allo stesso modo, senza che sia diventato migliore, ma restando semplicemente soddisfacente?

Ci basta che questa differenza di prezzo sia accettata sol perché ci ritroviamo a consumarlo in un’altra località?

Ovviamente la risposta alla domanda sul perché due prodotti uguali abbiamo un prezzo tanto differente a seconda della località dove lo si offre, può sembrare semplice: i più risponderanno che la differenza sta nei costi di gestione dell’attività.

E non vi è dubbio che i costi di gestione siano variabili, ma l’osservazione che mi preme sottoporre alla vostra attenzione è che quelli sono e restano i costi di gestione di un’attività che si svolge magari in un luogo in cui è la vita a costare di più o di meno a causa delle differenze del mercato immobiliare, o delle tasse dovute a servizi differenti, ecc. Ma il food cost degli ingredienti che compongono il medesimo prodotto, resta il medesimo a prescindere dal luogo in cui viene venduto. La quantità di risorse umane utili a mantenere lo standard di servizio imposto dal brand, stimata una soglia minima sotto cui è impossibile scendere, può solo aumentare, ma l’aumento di personale è quello che ogni attività dovrebbe sperare in quanto vorrebbe avere l’esigenza di rispondere a una quantità di domanda costantemente superiore che comporterebbe dei profitti superiori rispetto a quelli provenienti dai fatturati stimati ed evidentemente superati di gran lunga.

La differenza di prezzo non può farla neanche la posizione della location. Quante volte, dopo aver fatto notare il prezzo di un prodotto per noi troppo caro, ci è stato risposto qualcosa del tipo “Vabbè, però eri in pieno centro”, oppure “Si, ma eri in una località balneare”.

Bene, anche queste credo siano delle approssimazioni figlie di superficialità o disonestà intellettuale, perché se è vero che un caffè in piazza San Marco è giusto che arrivi a costare 5€ o più, allora diventa giusto anche il discorso inverso, ossia che un caffè “nel peggior bar di Caracas” non dovrebbe costare più di 0,50€ considerando che, se venduto in quantità sufficienti, il caffè a questo prezzo comporterebbe comunque un profitto utile a coprire sia le spese dell’attività che il minimo utile ricercato dall’imprenditore medio collocato a in una zona periferica di Caracas.

Insomma, se è vero che un prodotto è giusto che non abbia un tetto massimo per il suo prezzo, diventa anche giusto che non abbia un tetto minimo: se lavoro da solo sulla mia apecar regolarmente licenziata, una volta ammortizzato il mio investimento, potrei anche decidere di guadagnare quanto occorre al mio sostentamento e offrire un caffè a 0,30€ se la quantità venduta mi permette di arrivare al minimo profitto prefissato. Nessuno può dire “un caffè non può essere venduto sotto i 2€”, oppure “una pizza non può essere venduta sotto i 6€”. Le variabili sono infinite. E rendono vere e false le affermazioni di rispettabili imprenditori, a seconda dell’esperienza individuale.

Allora credo che se vogliamo accrescere la cultura sui prodotti, oltre che la cultura di impresa, a beneficio anche di una conoscenza più ampia del mercato da parte dei nostri clienti, ci siano un po’ di domande che dovremmo porci ragionando non soltanto da imprenditori ma innanzitutto proprio da clienti, visto che ogni giorno vestiamo i panni dei clienti prima che altri.

1) Quanto è giusto che la differenza di costi di impresa ricada sulle spese che il cliente effettua per l’acquisto del medesimo prodotto in due località differenti?

Beh, per me non è per niente giusto.

Visto però che, da utenti, siamo disposti anche a pagarla questa differenza di prezzo perché ci stiamo abituando a dare valore più alle esperienze che ai prodotti, allora…

2) Quand’è che diventa ammissibile una differenza di prezzo sostanziale per uno stesso prodotto offerto in due località diverse col medesimo servizio?

Quando il prodotto viene corredato di servizi supplementari rispetto agli standard. Attenzione, non stiamo parlando di servizi migliori o peggiori tra un locale che si trova in una o l”altra località in cui viene venduto il prodotto e svolta l’attività, perché stiamo parlando di brand operanti in franchising, e che quindi devono offrire uno standard minimo sia sui prodotti che sui servizi; stiamo parlando di servizi supplementari, aggiuntivi, servizi che in un locale trovo e nell’altro che porta lo stesso marchio no. Ecco, a mio parere è soltanto allora che è giustificata l’eccedenza di un prezzo che, se riferito a un prodotto e un servizio offerti sotto il cappello dello stesso brand, dovrebbe essere standardizzato il più possibile.

Quindi, vanno benissimo tutte le riflessioni sui prezzi dei prodotti e dei servizi delle attività. Siamo tutti sul mercato ed esposti. Ed è normale, e a mio parere anche giusto, che ognuno di noi subisca critiche positive o negative che siano. Dobbiamo ascoltarle queste critiche e tentare di comprenderle per capire dove poter migliorare. Se la gestione della nostra attività non può essere sostenuta contenendo i prezzi dei prodotti sotto una soglia massima, allora probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa in fase di analisi preliminare (perché voglio dare per scontato che prima di avviare un’attività le svolgiamo tutti le analisi di mercato). E, in ogni caso, anche qualora ci rendessimo conto di dover apportare delle modifiche al nostro modello di business, probabilmente, la cosa migliore da fare, non è banalmente la ricerca del prezzo giusto affinché le nostre vendite possano coprire le spese e generare il minimo profitto ma, la ricerca di servizi supplementari che i clienti della nostra attività sarebbero contenti di trovare e che, considerandoli come un accessorio importante per i prodotti disposti ad acquistare, sarebbero disposti a pagare al prezzo che noi avremo studiato essere quello congruo per la loro soddisfazione.

In definitiva credo che dovremmo iniziare a lavorare, oltre che come produttori e commercianti di beni ed erogatori di servizi, anche e soprattutto come degli assemblatori di esperienze. Dobbiamo diventare bravi a creare esperienze che abbiano un valore tale per cui i clienti non si chiedano più quale sia stato il prezzo pagato per il nostro caffè o per la nostra pizza, ma quale sia stato il prezzo per la soddisfazione o per la delusione che gli abbiamo inferto. E a quel punto dovremmo poi fare sempre più attenzione perché i giudizi inizieranno a basarsi non più sulla effettiva esperienza ma sulle aspettative che saranno, giustamente, sempre crescenti.

Dobbiamo imparare a studiare ogni dettaglio della nostra impresa e a lavorare bene. Questo, in questa epoca più che in qualsiasi periodo passato, ci impone l’enorme crisi che ci sta travolgendo.

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