Relazioni pubbliche Digital marketing

La comunicazione dei comunicatori e la censura. Le parole, il marketing e la formazione

Di il 18 Dicembre 2019

La comunicazione dei comunicatori è qualcosa su cui rifletto da tempo. Sono sempre più attento alle parole che ascolto, che leggo e che uso. Spesso sbaglio, altre volte mi accorgo di sbagli altrui, talvolta li analizzo e cerco un confronto. Stavolta sono stato censurato.

Questo è un articolo che alcuni diranno potevo evitare di scrivere per non alimentare ulteriori polemiche. Il punto è che, a 48 ore dalla condivisione, il post da cui nasce questa riflessione continua ad attrarre nuovi commenti a dir poco discutibili, e il perché l’ ho scritto si evince proprio da uno di quelli venuti fuori sotto la discussione.

Impeccabile: visto e considerato che “facendo una googlatina” è semplice risalire a ciò che si intercetta online, è bene chiarire la mia posizione sia riguardo alla analisi critica che ho scritto sull’ultimo caso Taffo e sia sulle riflessioni che ho pubblicato in rete sulla gestione di queste critiche da parte di Riccardo Pirrone, responsabile dell’agenzia che segue i canali social di Taffo, e autore del post su facebook da cui parte tutto.

Sono molto rammaricato mentre scrivo e il rammarico sta nel fatto che questo mio articolo nasce da un non confronto avuto con una di quelle persone con cui si è in contatto da anni attraverso i social, avete presente? Una di quelle persone con cui è come se ci si conoscesse, con cui si hanno tanti amici in comune: ci si segue reciprocamente, si entra in relazione di tanto in tanto grazie ad argomenti comuni. È un articolo che non sarebbe nato se Riccardo mi avesse dato la possibilità di spiegare le mie ragioni sotto a quella sua riflessione lasciata in balia di una shit storm alimentata da chi non ha voluto e non ha avuto modo poi di approfondire la mia versione, perché censurata proprio da lui. Il post in cui ho tentato di intervenire è questo

È stato pubblicato il 16 dicembre dopo circa 3 settimane che tante persone hanno espresso le proprie considerazioni, analisi, critiche, condivisibili o meno, relative a quel messaggio apparso sulle pagine del brand Taffo in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. Il messaggio era questo:

La mia analisi critica a quel messaggio fu questa:

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E nacque dopo che ero intervenuto nella discussione lanciata da Paolo Iabichino (uno dei massimi esperti che abbiamo in Italia sui temi di comunicazione e pubblicità, e non lo dico io ma la sua carriera), che commentò, prima a caldo, in questo modo, quel post di Taffo:

E poi con questo articolo più approfondito, da cui condivido l’impeccabile conclusione:

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Dopo la doverosa premessa, passiamo al punto della questione:

L’uso delle parole, i messaggi, il senso che gli diamo, le interpretazioni, insomma la comunicazione in ogni sua forma è sempre più importante per la crescita di una società sana; e considerando la gravità di ciò che accade nel mondo, in politica prima di tutto, con una comunicazione che supera troppo spesso quella linea di demarcazione tra la civiltà e l’inciviltà. Noi che con la materia ci lavoriamo ogni giorno, non abbiamo più scuse: dobbiamo agire per migliorarci tutti, migliorare il nostro modo di comunicare; perché tutti insieme, poi, componiamo quella società di cui ogni giorno ci indigniamo.

Noi siamo quelli che ci scandalizziamo anche solo se intuiamo da lontano, qualcuno che sta provando a censurare le opinioni di qualcun altro, ma poi siamo quelli che, quando non riusciamo a confrontarci con le opinioni degli altri, le cancelliamo in maniera netta lasciando a chi legge solo una interpretazione della vicenda: la nostra. Si, anche questa è censura, la pratichiamo noi, sui social, attraverso quegli strumenti che usiamo quotidianamente e che sono oggetto delle lezioni che noi stessi diamo a chi, più giovane, paga per ascoltarci e per formarsi. Noi che veniamo presi come punto di riferimento, come casi di studio della materia, e come docenti. I social sono quei luoghi che diciamo, da anni, essere null’altro che la vetrina digitale, il prolungamento della società e del contesto in cui viviamo.

Che sia in strada o sui social, noi siamo pienamente responsabili di tutto ciò che ci accade intorno; e anche quando non lo siamo, se ci accorgiamo che qualcosa che sta accadendo non lo riteniamo giusto, abbiamo tutto il dovere e soprattutto il diritto di intervenire per spiegare le nostre ragioni.

Il modo di postare le proprie considerazioni, generalizzando, non tenendo conto del contesto e, peggio ancora, accusando persone che hanno semplicemente criticato un episodio relativo al nostro lavoro, fa di noi dei professionisti superficiali. Soprattutto quando cerchiamo di giustificare una nostra reazione intima, caratteriale, anche legittima perché ci sentiamo toccati sul personale, argomentando sugli stessi temi creando una confusione enorme.

È successo che pochi giorni fa ho intercettato il post in questione ed ho riconosciuto non solo quelle che erano le mie considerazioni, ma anche la sagoma di Giorgio Soffiato, professionista del marketing digitale, nonché amministratore di Marketing Arena.

L’accusa, tanto superficiale quanto generica, rivolta a me è del tutto fuori luogo come lo era quella rivolta a Giorgio Soffiato che, nello specifico era stato inserito tra gli accusati per colpa di questa slide che raffigura un messaggio creato dall’autore del post per RoadHouse Restourant (uno dei clienti della sua agenzia).

Giorgio interviene provando a far valere le proprie ragioni. Addirittura, dal suo commento, si evince che, attraverso quella slide, lui intendesse criticare nel bene il lavoro dell’agenzia.

Qui viene la parte interessante che evidenzia indirettamente, e avalla, i contenuti della mia prima analisi sul caso Taffo: nella discussione, tra i commenti, emerge quello di Silvia Sacchetti che ricopre il ruolo di responsabile del digital marketing nonché social media manager di RoadHouse Restourant, la quale, in maniera molto professionale, fa notare che non sembra esserci nulla di particolarmente eclatante in quella slide, e che, non conoscendo il contesto dell’intervento effettuato da Soffiato, ha prontamente chiesto al diretto interessato, privatamente, spiegazioni in merito.

Spiegazioni che non sono tardate ad arrivare a quanto pare, tanto che l’autore del post, successivamente, integra il contenuto aggiungendo che vi era stato un chiarimento con Giorgio Soffiato; chiarimento che, in realtà, era avvenuto solo grazie all’intervento del responsabile marketing del brand (complimenti a Silvia Sacchetti, questo è esattamente ciò che voleva essere il messaggio della mia analisi sul caso Taffo, ossia che ogni azienda deve avere al suo interno un responsabile della comunicazione pronto ad intervenire in caso di “crisi” che riguardano il brand, a prescindere dal fatto che affidi ad un’agenzia esterna la comunicazione social), e non a quello del diretto interessato autore del post ambiguo. Ragion per cui lo stesso autore aggiorna il post con:

Ho provato quindi ad intervenire anche io nella discussione, così come aveva fatto Giorgio, certo di aver scritto qualcosa di costruttivo e assolutamente non offensivo. Tra l’altro rendendomi riconoscibile sotto un commento del genere

Sono quindi anche intervenuto sotto un commento di amici comuni che mi chiamavano in causa, quello di Cristiano Carriero a cui aveva risposto già anche lo stesso Giorgio Soffiato:

Questi commenti però non potete più leggerli in quella discussione perché visto che le mie riflessioni erano postate in risposta a questi, per eliminare le mie, automaticamente son stati rimossi anche questi commenti di Cristiano e Giorgio.

Lo dice lo stesso autore del post in risposta ad uno dei commenti.

Facebook, però, mi notificava per tempo che “il contenuto da me condiviso non era più disponibile” allora riuscii a salvarli ed eccoli qui. È da qui che in realtà nasce questo post: dalla frustrazione di non poter esprimere le mie ragioni nel posto e nel momento dove dovevano essere condivise e dovevano restare.

A questi commenti ne seguirono altri in cui chiedevo di non eliminarli, ma nulla. Io scrivevo, e puntualmente ciò che scrivevo veniva rimosso.

Ora, mi perdonerete se lo faccio notare, ma in tutto questo c’è qualcosa che non torna, qualcosa di perverso; e dal momento in cui quello censurato sono stato io, mi va di chiarirlo perché, come ci hanno insegnato i veri esperti, “le parole scritte sulla rete restano”; visto che sono anni che scrivo di comunicazione aziendale (soltanto dagli ultimi due per me è diventata una seconda professione tra formazione e consulenze aziendali ben selezionate, e non mi occupo di social), credo di essermi guadagnato una certa credibilità sui temi, e non permetto a nessuno di lasciare nella rete i miei concetti associati a delle interpretazioni sbagliate e volutamente fuorvianti, senza provare a spiegarli. Considerato che non mi è stato permesso di farlo dove ero chiamato in causa, lo faccio nel mio spazio, sul mio blog, dove le porte per un confronto saranno sempre aperte per tutti coloro che sanno relazionarsi in maniera educata.

Come si evince dai commenti che ero riuscito a salvare prima della censura, e che ho postato sopra, la mia critica non è nata perché volevo “parlare male, denigrare, maledire, criticare, disinnescare campagne pubblicitarie di un brand, ma più nel profondo di un tuo concorrente”, come fa passare l’autore del post. Basta leggerla quella mia analisi e ci si accorge che non vi è alcuna offesa rivolta né alla persona e né al professionista in questione, ma semplici riflessioni sui modi e i metodi usati nella gestione delle critiche arrivate dopo.

Io sono del parere che dai commenti nasce un confronto, si chiariscono concetti che possono vedere gli interlocutori restare anche distanti, ognuno sulle proprie posizioni, ma se si mantengono toni rispettosi non vi è alcuno screditamento, semplicemente si dialoga, anzi, direi che si arricchisce il tema di punti di vista sicuramente interessanti. Ed è utile soprattutto quando c’è un pubblico interessato agli argomenti perché resi pubblici naturalmente dal modo in cui sono stati espressi: condividendoli sui social.

Noi, che per gli altri siamo i geni del marketing e della comunicazione semplicemente perché confondono il marketing e la comunicazione con la creatività (la cui genialità lascia comunque il tempo che trova), dovremmo far capire a chi ci segue che vi sono delle differenze tra comunicazione, marketing, social, e altro. Invece…

intervenire per primi per riportare le discussioni sui binari giusti.

Invece, talvolta, ci facciamo fuorviare da certi commenti e non mettiamo più in discussione noi stessi. Diventiamo quelli del “e che ci frega se non viene capito il nostro messaggio, l’importante è che se ne parli, se poi ci credono geniali tanto meglio“. Credendo così di acquisire notorietà, rilevanza, senza renderci conto dei danni che stiamo facendo a noi stessi e alla materia.

Questa cosa è sbagliata perché le nostre azioni, i nostri contenuti, ciò che lasciamo in rete, diventa fonte di studio per dei giovani che domani si ritroveranno a gestire lavori e, soprattutto, identità proprie e di terzi; giovani che devono avere le idee chiare sul peso che avranno certi comportamenti. Se siamo noi che svolgiamo, per professione, il ruolo di docenti o, semplicemente siamo punti di riferimento della materia, i primi ad utilizzare male gli strumenti, ma soprattutto a gestire male in pubblico le critiche che riceviamo, con una comunicazione ambigua, allora poi domani non dobbiamo lamentarci se le aziende che assumeranno quei giovani che avremo formato, si ritroveranno a dover gestire quelli che chiamiamo “epic fail” per delle leggerezze. Bisogna che distinguiamo le materie di nostra competenza, che ci occupiamo di quelle e che affidiamo ad altri la gestione di ciò che non dovrebbe competere a noi.

Allora, per l’ennesima volta, visto che ce n’è sempre più bisogno evidentemente anche per gli addetti ai lavori, chiariamo alcuni concetti:

Il marketing non è la comunicazione, ma la comunicazione è parte integrante del marketing. Quando si parla di marketing si deve conoscere questa differenza. Il caso Taffo che, nel bene o nel male, a seconda dei punti di vista, è comunque un caso che merita risalto, non ha nulla a che vedere con il marketing, e neanche con la comunicazione intesa a trecentosessanta gradi, ma solo ed esclusivamente con la comunicazione social, più precisamente, con la creatività di alcuni suoi messaggi, di cui io stesso sono stato tra quelli che li ha apprezzati. Ulteriore bravura hanno avuto i ragazzi dell’agenzia KirWeb a trovare e/o convincere un’azienda del settore onoranze funebri, ad accettare di trattare un argomento come la morte in una maniera coraggiosa, rivolgendosi al grande pubblico.
Quindi distinguiamo una volta per tutte il marketing dalla comunicazione, e soprattutto la creatività dal marketing e dalla comunicazione.

E ancora:

No, assolutamente no. Gli insight, i dati, derivanti da operazioni social, non sono i numeri del marketing.

Come se non bastasse, il paradosso: nel suo post originale, l’autore accusa chi lo ha criticato (tipo me) di generare un seguito di interventi senza pudore,

facendo credere che chi ha criticato lo ha fatto per arrivare alla conclusione che la sua pubblicità fa schifo. Ora mi rivolgo direttamente a lui: No Riccardo, mai fatto e mai lo farò. E la tua pubblicità non fa schifo, tanto che in passato ti ho chiesto di valutare progetti e costi per affidarti la gestione dei social del mio brand; io semplicemente ho condiviso il mio pensiero, e lo ribadisco, che quel messaggio scritto per Taffo, in quel giorno, era sbagliato.

Proprio come da anni fanno i critici di blog e giornali che scrivono di digital marketing, talvolta analizzando Epic win ed Epic Fail di vari brand quando un contenuto ottiene rilevanza nel bene o nel male. Questa lista di post della brava Valentina Spotti, per TechEconomy2030 è solo un esempio dei tanti.

Clicca sull’immagine per leggere l’articolo

Chi, come lei, lo fa benissimo tentando di dare alla fine di ogni messaggio una piccola “lezione”, ho sempre ritenuto solo da apprezzare. Poi è ovvio che ognuno avrà il suo pensiero, ma il modo in cui lo si condivide fa la differenza. Il fatto che dietro queste azioni dei brand ci sia un responsabile interno o un’agenzia esterna a cui viene affidata la comunicazione social è ovvio, non vedo quindi perché dovremmo analizzare solo quelle operazioni di brand che non seguono i nostri conoscenti. Non vedo perché nel caso specifico devi far passare il messaggio che la critica sia stata una scorrettezza nei confronti di un professionista. Non è così. Era tutto lì, e lì doveva restare. Una critica (spero costruttiva) da saper leggere. Invece, andando oltre, hai dimostrato che in un’azienda (prima l’esempio era Taffo, ma anche una web agency è un’azienda, in questo caso la tua) ognuno dovrebbe occuparsi di ciò che gli compete. Tu sei un bravo copy, un creativo, e sicuramente un bravo imprenditore, ma probabilmente sulla strategia di comunicazione, quella che va oltre l’impatto mediatico di un messaggio, e sulla gestione della “crisi”, ti consiglierei di farti accompagnare da altri professionisti. In questo modo spero così che la tua agenzia continuerà a crescere, come tutti meritiamo se facciamo le cose bene (poi ti auguro, se sono io a star sbagliando valutazione, di continuare a crescere comunque. Magari riuscendo, come suggerisce Luca La Mesa in uno dei commenti sotto al tuo post, ad associare un po’ di sensibilità e senso critico alla tua creatività).

Altro dettaglio brutto da riscontrare: nel tuo post si legge che le critiche hanno generato “discussioni senza pudore, senza professionalità, senza lealtà, ma soprattutto senza ritegno”, non è vero, almeno non sotto le mie condivisioni. Perché io le discussioni le modero. E non appena un utente, chiunque esso sia, alza i toni più di quanto consentito, intervengo per riportare la discussione nei limiti di una comunicazione civile tra persone. Non ci si rende conto che, invece, proprio il post in cui si accusa altri di aver fatto generato “discussioni senza pudore” ha attivato una shit storm di quelle che tante volte noi tutti abbiamo rinfacciato, tipo ai politici. La mancanza di rispetto in certi commenti è palese, e la cosa grave è che non vi è stata alcuna moderazione a questi commenti, anzi.


Addirittura Giorgio Soffiato è costretto a far notare, per una strana deriva, che vi sono alcuni commenti diffamatori, quindi perseguibili, in risposta ad una persona che a sua volta accusava i critici di essere querelabili.

Altri utenti, prima di esporre le proprie impressioni, e il proprio tifo per il beniamino di turno, si chiedono provocatoriamente chi siano e di cosa si occupino coloro che hanno osato criticare il proprio mito

A questi utenti sarebbe bastato seguire il consiglio proveniente da uno dei commenti, ossia fare una semplice “googlatina” per comprendere da che pulpito arrivavano quelle “prediche” (critiche), e per capire chi erano gli autori di quei post, quali brand gestivano e con quali risultati. Così, giusto per distinguere certe riflessioni “fuffa” da altre più serie. Si sarebbero potuti accorgere che alcuni dei critici (me per primo) non sono concorrenti di Riccardo, men che meno della KirWeb. Ma tant’è.

Dobbiamo tornare ad usare le parole nella maniera giusta: pesarle, dare loro la giusta importanza; quando gli argomenti diventano articolati dobbiamo imparare ad andare più a fondo, ad interpretare il contesto, se non riusciamo in prima analisi dobbiamo sforzarci di fare delle piccole ricerche, visto che la rete ci riporta poi, nella maggior parte dei casi, le informazioni opportune ad avere le idee chiare da cui far partire le nostre discussioni. Dobbiamo imparare a stare in rete, a convivere nella rete.

Per chi si stesse chiedendo se è giusto o meno intervenire criticando il lavoro di qualcun altro, vi invito a pensare al fine per cui si critica, ai modi in cui si critica, e al significato stesso della parola critica. Personalmente ritengo che, fin quando si riflette su un argomento e si interviene col fine di aggiungere valore ad una discussione, di essere costruttivi a beneficio di tutti, anche facendo notare degli errori errori, le critiche debbano essere benvenute.
Il concetto di scorrettezza, da cui parte la riflessione dell’autore del post, per il quale “gli esperti non dovrebbero parlar male del lavoro degli altri” è ben altra cosa: la scorrettezza prevede dinamiche subdole, poco chiare, non trasparenti. La critica all’interno della stessa azienda può giovare a tutto l’organigramma aziendale; la scorrettezza tra risorse della stessa azienda, invece, danneggerà tutta l’azienda. Ecco, i modi, il come si espongono alcuni pensieri, distingue una critica da una scorrettezza.

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