Non so se capita anche a voi: al mattino, quando siete in macchina, di guardarvi intorno, nel traffico, e soffermarvi sui cartelloni pubblicitari. I 6×3.
Lo avete notato pure voi che, oggi, rispetto a qualche anno fa, troviamo su quei manifesti pubblicitari anche il negozio che abbiamo sotto casa? Prima quegli spazi erano prerogativa solo dei grandi marchi nazionali e internazionali. Oggi, invece, mentre guidiamo, alzando gli occhi, troviamo in fila:
- La trattoria di quartiere, che fino a ieri ci andavamo perché a cucinare ci sta Donna Titina che ci ricorda tanto la cucina della nonna, su quei 6×3 sembra diventata l’ennesimo ristorante stellato. Foto che vogliono farci immaginare che mentre staremo mangiando potrebbe avvicinarsi al tavolo chef Ramsay a chiederci se il piatto è di nostro gradimento.
- Il fotografo dei matrimoni del paesino di periferia, che fino a ieri esponeva foto con aloni di luce e qualche sfocatura in bianco e nero, ora è su quei 6×3 con immagini panoramiche della città scattate col drone, con gli sposi ad essere il dettaglio della sua arte.
- Don Giggino il salumiere che, fino a ieri sera, sbraitava nei confronti del ragazzo delle consegne delle mozzarelle perché gliene aveva portato un paio di kg in più rispetto al suo ordine; Don Giggino, invece, ora, su quei 6×3 sembra il nonno di Heidi che, dopo aver munto direttamente le sue bufale lì, sulle montagne, torna nella sua boutique della mozzarella per offrire il prodotto fresco ai suoi affezionati clienti.
- E Ciccillo il pescivendolo che tutte le mattine… e che su quei cartelloni ora sembra Sampey?
Sapete quanto costava qualche anno fa un 6×3? Per un semplice commerciante, quel costo, rappresentava un sacco di soldi. Sapete quanto costa adesso? Uguale.
Le concessionarie pubblicitarie rivendono, oggi, i circuiti (un numero di postazioni pubblicitarie predefinite, site in aree predefinite della città) ai grandi brand, per periodi di tempo determinati: quattordicine (quattordici giorni di seguito), proprio come ieri. E proprio come ieri rivendono le singole postazioni, spacchettate, in periodi dell’anno in cui la richiesta è minore. La differenza è che oggi, rispetto a ieri, pare che su quei cartelloni ci siano molti più commercianti che grossi brand.
Allora perché oggi, rispetto a ieri, troviamo sempre più commercianti locali sui cartelloni pubblicitari? Vediamo.
I vecchi limiti della pubblicità tradizionale
Fino a qualche anno fa i commercianti non avevano consapevolezza della potenza di una pubblicità mirata; in realtà non sapevano neanche cosa fosse una pubblicità mirata. Ragionavano, al massimo, pensando agli spot pubblicitari sulle TV regionali, soltanto perché il cugino che studiava scienze della comunicazione gli presentava l’amico che aveva aperto la propria agenzia e poteva offrirgli il “pacchetto completo”: creazione, registrazione del video e montaggio spot, attori per lo spot, musiche (che tanto che ci frega dei diritti) e, soprattutto, la conoscenza con l’editore della tv locale, che gli avrebbe fatto lo sconto.
Quando poi si parlava di costi, dovevi iniziare a pensare a quanti passaggi televisivi, ai secondi di trasmissione, alla durata della stagione televisiva, il billboard, i messaggi promozionali, ecc. e non si concludeva mai l’affare perché, a conti fatti no, a lui, al commerciante, serviva solo quell’unico passaggio pubblicitario, in quel giorno preciso e durante solo la prima parte di quella trasmissione. Il ragionamento era questo: se il Napoli giocava la domenica sera, lui voleva vedere la sua pubblicità durante la trasmissione di approfondimento, di modo che i suoi clienti, che sicuramente la guardavano, avrebbero riconosciuto l’insegna del suo negozio. Vuoi mettere la soddisfazione.
In tutti gli altri giorni, i suoi clienti, non guardavano quel canale; perché mai, quindi, avrebbe dovuto pagare tutti quei soldi per degli spot pubblicitari che nessuno avrebbe visto? Il ragionamento filava. L’entusiasmo scemava. E i conti tornavano.
Tutto portava a desistere. Per non parlare degli agenti delle concessionarie pubblicitarie che, pigri e incapaci di studiare un’offerta mirata per quel cliente, proponevano a tutti, incondizionatamente, l’acquisto dell’intero circuito di cartellonistica e non della singola postazione che effettivamente al commerciante interessava.
Insomma, fino a poco tempo fa, per i commercianti la pubblicità era un’entità astratta, un obiettivo irraggiungibile; il suo valore era indefinibile perché non misurabile e, a causa del suo costo, dell’incapacità di spiegare e di comprendere il suo costo, le sue potenzialità erano inesplorabili.
Il risultato di tanta superficialità è stato che, per anni e anni, la pubblicità, per un motivo o per un altro, è stata snobbata da quella fascia di protagonisti del mercato che poi, effettivamente e concretamente, il mercato lo popolano e lo ravvivano.
Il valore aggiunto della geolocalizzazione nella pubblicità moderna
Nel momento in cui sono arrivati i social network, il nostro caro cugino sapientone ha iniziato a smanettare con un altro tipo di comunicazione, con un altro tipo di pubblicità. Paradossalmente, ha iniziato a lavorare di più e in prima persona, portando risultati inaspettati al commerciante che, per giunta, non aveva effettuato investimento alcuno.
Con l’inizio della pubblicità sui social network si è iniziato a prendere coscienza della possibile targettizzazione del potenziale pubblico in maniera intelligente, in quanto, molto semplicemente, lo strumento ci ha offerto la novità di poterla impostare. Sino ad allora, invece, la pubblicità non ci permetteva di scegliere in maniera specifica a chi arrivare: la Tv regionale, seppur locale, copriva comunque un pubblico troppo ampio per le nostre esigenze. Il costo per la copertura di quel pubblico non avrebbe portato risultati concreti all’attività commerciale in quanto, seppure il messaggio fosse arrivato ad un pubblico più ampio, molto difficilmente ce lo saremmo ritrovati nella nostra bottega.
Grazie ai social network, invece, abbiamo potuto iniziare a restringere il nostro pubblico minuziosamente. Da quel momento l’obiettivo poteva essere anche solo arrivare al pubblico di un limitatissimo raggio d’azione: i cittadini dell’area dove vive la nostra attività commerciale. Con queste operazioni, più intelligenti e con costi relativamente irrisori, grazie al lavoro gratuito del cugino, sono arrivati i primi risultati. I commercianti hanno iniziato, inconsapevolmente, a prender dimestichezza con il ROI e a valutare gli investimenti pubblicitari in base a delle proposte alternative ai canali tradizionali.
La conoscenza dell’esistenza di queste possibilità, quel pizzico di competenze sulle dinamiche, la presa di coscienza dell’importanza della geolocalizzazione, hanno fatto in modo che la pubblicità non venisse vista più dai commercianti come qualcosa di insostenibile. Si son resi conto che, se impostata in maniera intelligente e mirata, avrebbe portato i suoi frutti.
Da qui, forse, è venuta la spinta per affrontare anche piccoli investimenti, sempre più mirati, in postazioni di cartellonistica stradale adiacenti alla loro attività commerciale. Da qui, forse, la voglia di investire nella produzione di contenuti (foto e video) che gli permettessero di dare valore ad una immagine che sino a ieri restava all’interno del proprio locale e che da quel momento iniziava, invece, a diffondersi con l’obiettivo di attirare nuovi clienti.
La comunicazione e la diffusione della foto: Instagram ha dato valore alla didascalia
In tanti, soprattutto tra i grandi luminari della fotografia e dell’arte in genere, criticano Instagram, fin dalla sua nascita, in maniera negativa, non tanto per l’utilità dello strumento in sé ma, ancor peggio, per l’utilizzo che le persone e i fotografi professionisti effettuano dello stesso. La critica è chiara e bidirezionale: in primo luogo è rivolta ai fotografi professionisti che non dovrebbero sminuire il loro lavoro regalandolo a tutti, condividendolo. Soprattutto non dovrebbero mai immaginare di storpiare i propri scatti con quei filtri artificiali. In secondo luogo, la critica, è rivolta alle persone comuni che, eresia, credono di poter diventare fotografi e di sentirsi artisti, magari guadagnarci anche, grazie a quattro scatti effettuati distrattamente con uno smartphone e senza neanche usare una reflex.
Instagram, invece, a mio parere, può essere uno degli strumenti più importanti per il lavoro dei fotografi; per la comunicazione e per la diffusione delle loro opere. Comunicazione e diffusione che, attenzione, sono cose completamente differenti.
La fotografia, come qualsiasi opera d’arte, ma io direi come qualsiasi immagine pubblica, deve comunicare qualcosa. Questo qualcosa, grazie ad Instagram, ormai, può esser comunicato andando oltre ciò che si fa vedere: il messaggio, può essere comunicato con ciò che si scrive a supporto di ciò che si fa vedere. In questo modo, aggiungendo una didascalia pensata, il messaggio può arrivare al pubblico in maniera più chiara, più forte; si può scegliere se lasciar libero arbitrio all’interpretazione di ogni persona che osserva la foto, oppure guidarla alla comprensione della stessa.
Roland Barthes, in un piccolo libro, la cui lettura consiglio a tutti perché un breve trattato sociologico, La camera chiara, ha parlato di punctum e spectrum come i due elementi che danno vita alla foto: il primo rappresenta quel dettaglio della foto che colpisce l’utente e che lo porta ad immaginare l’azione nel particolare; il secondo rappresenta, invece, il contesto della foto in cui si svolge l’azione, il campo largo, l’ambientazione.
Ebbene, su Instagram, in quanto luogo sociale in cui, grazie alle proposte di ognuno, si socializza, a mio parere, la concentrazione del fotografo, ma allo stesso tempo quella del fruitore, deve andare oltre l’immagine. Anzi, meglio dire che, nell’immagine si aggiunge un terzo elemento che è quello del testo. Su Instagram, il testo diventa parte dell’opera, non è più un attributo distaccato. Il fotografo diventa così anche uno storyteller, un cantastorie (le storie che ti mostra); l’utente, colui che osserva le foto, invece, diventa anche un lettore: entra nella storia osservata grazie alla didascalia della foto che può diventare una vera e propria presentazione dell’immagine.
La diffusione del messaggio, che è composto dalla foto più la sua didascalia, su Instagram diventa non più soltanto una mera conseguenza della sua potenza; bensì una strategia indipendente dal messaggio. Può essere controllata, studiata strategicamente grazie ad un sapiente uso degli hashtag che, in materia pubblicitaria, nel contesto contemporaneo in cui ogni persona diventa produttore, editore e diffusore del messaggio che intende lanciare (che sia pubblicitario o meno), hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione: mentre per la produzione e la creazione dei messaggi occorrono comunque competenze e investimenti, grazie agli hashtag il costo della divulgazione del messaggio, che prima eravamo costretti a mettere in preventivo e che aumentava proporzionalmente rispetto al numero di canali su cui intendevamo far arrivare il nostro messaggio, può essere anche totalmente abbattuto rinunciando alla sponsorizzazione, scegliendo di entrare strategicamente nella discussione di pertinenza, pubblicando periodicamente dei contenuti accompagnati dall’hashtag dell’argomento.
Conclusione
Con l’avvento dei social network, di Instagram nello specifico, i commercianti hanno iniziato a prendere coscienza della necessità di apparire belli quando si prova a fare pubblicità. Hanno capito che non basta più il messaggio che “le polpette siano buone come quelle della nonna”: se vuoi che il messaggio si diffonda, devi fotografarle e devono essere belle oltre che buone, devono essere raccontate e, per non rischiare di buttare i tuoi soldi, devono essere proposte a persone che possono realmente venire a mangiarle diventando, poi, tuoi nuovi clienti.
Instagram ha avvicinato i commercianti alla pubblicità.
*Credit immagine https://www.ricettedigusto.info/polpette-al-sugo-alla-napoletana/