Formazione Imprese

Se lavori “quasi bene” lavori male. Gli equivoci dell’empatia

Di il 3 Agosto 2021

Uno dei lati del mio caratteraccio su cui mi pongo tante domande prevede la mia difficoltà a prendere in giro le persone che lavorano con me: se una cosa è fatta male io dico che è fatta male, ne spiego le ragioni oggettive e il perché di quelle più interpretative; intanto che le spiego apro comunque al confronto perché posso sempre aver sbagliato valutazione o posso aver interpretato male qualcosa che non ho saputo leggere dal punto di vista di chi ha realizzato il lavoro (e già questo dovrebbe far porre delle domande all’autore); se però durante il confronto non emerge l’errore di valutazione allora vuol dire che un lavoro è fatto male, e io mi sento in dovere morale di dirlo, che sia io cliente o fornitore, sento il dovere di dirlo proprio per necessità di chiarezza e voglia di crescere insieme alla persona e al professionista che ho voluto ad accompagnarmi in quel lavoro.

Quando penso che qualcosa sia fatto male la mia prima reazione è dire che è fatto male, non di certo dire che è fatto “quasi bene”. Su qualcosa che è fatto male non puoi lavorarci, devi azzerarla e rifarla. Altrimenti se parti volendo limare cose fatte male, fino a ché poi queste diventino fatte bene ne passerà un sacco di tempo che io non ho e che se avessi non vorrei spendere in quel modo, limando cose fatte male. Quando qualcosa invece già in partenza è fatta “quasi bene” la prima reazione è un’esclamazione del tipo “bene, ci siamo quasi ma…”, e si prova a limare il quasi; in questo caso limare quel quasi richiederà tempi brevissimi.

Ora, io lo so che in questi anni con la questione dell’empatia in ambito lavorativo ci hanno un poco confuso le idee, ma secondo me è arrivato il momento di dircelo chiaro e tondo: far credere a qualcuno che ha lavorato “quasi bene” quando in realtà ha lavorato male, genera incomprensioni e lavori sbagliati, e inevitabile frustrazione. Inoltre, se anche dopo che gli dici onestamente che ha lavorato male, al primo piccolo miglioramento gli dici che va “quasi bene”, lo stai illudendo che è sulla buona strada; e secondo me lo stai prendendo in giro e ti stai prendendo in giro.

Accontentandoti del compromesso tra le tue aspettative e il lavoro fatto male, farai sì che l’autore del lavoro fatto male inizierà i lavori successivi partendo da una base che è comunque sbagliata. Dai vita a un loop di azioni e reazioni basati su tentativi che genereranno scontentezza da ambo le parti.Dire invece a qualcuno, chiaramente, che ha lavorato male o che il risultato del suo lavoro è sbagliato, e ripeterglielo finché non avrà lavorato davvero bene producendo un buon risultato, probabilmente, servirà a fargli comprendere innanzitutto le tue aspettative, e magari qualche errore che stava commettendo, e servirà domani e ad essere tutti soddisfatti davvero del risultato e di tutte le risorse investite affinché quel lavoro fosse realizzato.

Per dire, insomma, che dal punto di vista del mio carattere di merda, io sostituirei sempre questa grande bolla di sapone dell’empatia sul lavoro con l’educazione, il rispetto, e la chiarezza: si possono dire tante verità in modo chiaro, in maniera educata e rispettando l’interlocutore, stimandosi e costruendo una relazione basata su una correttezza tesa a generare soddisfazione per tutte le parti in causa. Invece, a furia di voler essere empatici, a me pare che tante persone si prendano in giro a vicenda, perdano tempo, e restino comunque delusi non solo da ciò che producono ma, peggio, dalle relazioni che instaurano tra clienti e fornitori, che siano loro clienti o fornitori.

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