Farinetti cede Lurisia a Coca Cola in un’Italia che beve Mojito
Lo dico subito: attaccare Farinetti è sbagliato. Ho letto un articolo di Mario Giordano su Dagospia che definirei semplicemente inadeguato ai nostri tempi e alla nostra realtà.
Un articolo offensivo non solo per Farinetti ma per tutti coloro che tentano di fare impresa (e non solo in Italia). Un articolo pericoloso per gli italiani che potrebbero pensare che la crescita dell’occupazione, del lavoro, delle aziende, del PIL, insomma del nostro paese, riuscirà ad arrivare solo grazie alle nostre forze.
Forse non vi è chiaro che oggi l’Italia è un paese debole
Io vorrei far notare una cosa a chi sta gettando fango su Farinetti per la cessione dell’acqua minerale Lurisia a Coca Cola: quando si acquisisce un’azienda, un brand, piccolo o grande, è perché si hanno dei piani di sviluppo per quell’azienda (non necessariamente per il brand). I piani di sviluppo equivalgono ad investimenti in nuove strutture, nuova forza lavoro; quindi crescita dimensionale, aumento dell’occupazione. Assunzioni, produzione, esportazioni. Tutto traducibile in crescita del PIL.
Invece di scrivere una marea di sciocchezze faziose, quindi, bisognerebbe solo auspicare che queste operazioni possano essere sempre più frequenti; che i brand italiani diventino sempre più attraenti per le multinazionali estere, che queste vengano in Italia per investire sempre più sulla nostra produzione.
E il made in Italy?
Il Made in Italy va protetto facendo cultura del Made in Italy. Non sono gli altri a mettere in pericolo le nostre tradizioni, siamo noi. Noi che accusiamo sempre l’invasore straniero, anche quando viene a dar valore ai nostri prodotti e al nostro lavoro; siamo noi il primo pericolo per noi stessi, noi che non ci preoccupiamo di tramandarli i nostri lavori, di creare delle vere e proprie scuole con percorsi a lungo termine. Insegnare l’ agricoltura, l’artigianato, i metodi di lavorazione, la scelta delle materie prime, il controllo della qualità.
Noi che puntiamo il dito contro Farinetti che con Eataly e Fico crea lavoro in Italia e all’estero, noi che guardiamo, passivi, i nostri mestieri perdere valore, non saper più creare occupazione, accettando la mediocrità crescente di ciò che consumiamo; noi che non ci rendiamo conto che la qualità di un prodotto non è data solo dalla sua bontà ma da tutto il processo che lo porta su uno scaffale: controlli, etichettature, ecc.
Il massimo che possiamo fare, restando sì come siamo, ma migliorando la qualità nella preparazione e nella presentazione dei nostri prodotti, è provare a standardizzare la nostra produzione. Sarebbe un primo traguardo. A mio parere, se riuscissimo ad investire non più sul tentativo di snaturarci diventando delle grandi industrie o la nuova Silicon Valley, ma su questa nostra prerogativa che vede le materie prime e la nostra lavorazione come motore del nostro mercato, riusciremmo a far crescere costantemente, in blocco, migliaia di pmi già pronte ma che non hanno ancora modo di compiere i passi necessari; di conseguenza crescerebbe la nostra economia in maniera coerente con chi siamo.
Teniamoci gli investimenti delle multinazionali estere finché lo stato non si sveglia
Non abbiamo, allo stato attuale, multinazionali italiane in grado di compiere le stesse operazioni che compiono le multinazionali estere, le grandi industrie italiane hanno sempre meno interessi ad investire in Italia, considerando tasse e costo del lavoro, anzi, per questo motivo sono le prime a protendere per una delocalizzazione della produzione.
È questo che occorre fermare, e lo si ferma non sputando fango addosso a chi fa impresa ma cercando di portare il MISE e il Ministero del Lavoro a lavorare per lo sviluppo delle nostre imprese, abbassando il costo del lavoro, per tutti coloro che fanno impresa nel nostro paese, italiani e stranieri; Insistere perché i ministeri possano favorire le esportazioni lavorando in sinergia con l’Europa e non solo; studiando e programmando, insieme ai ministeri incentivi utili alla crescita delle imprese di ogni dimensione.
Quindi sarebbe bene andare oltre il concetto dello straniero che viene a rubare il prodotto italiano, o dell’italiano che svende il Made in Italy allo straniero. Attaccare Farinetti è sbagliato. Occorrerebbe solo fare in modo che queste operazioni tra privati vengano coadiuvate dallo stato, e che questo imponga agli investitori una prosecuzione della produzione in Italia con l’obbligo di nuove assunzioni per cittadini italiani. Cittadini italiani, di qualsiasi religione e colore della pelle, persone che producono ricchezza in Italia.